Davide Battaglia dipinge il cartello della Settimana Santa de La Laguna.
La Semana Santa di San Cristóbal de La Laguna è un appuntamento di fede, tradizione e -perché no?- turismo fra i più rilevanti in Spagna.
Ogni anno la Junta de Hermandades y Cofradías de San Cristoóbal de La Laguna affida ad un artista canario la realizzazione dell’immagine ufficiale che accompagna i moltissimi eventi della settimana
Ma l’edizione 2025 presenta una significativa novità: per la prima volta l’immagine della Semana Santa è stata commissionata ad un artista straniero, Davide Battaglia.

Sì, proprio lui: lo stesso che solo un paio mesi fa ha presentato il grande quadro storico che celebra la famosa Spedizione Balmis del 1803.
HORA SEXTA: Davide Battaglia dipinge il cartello della Settimana Santa de La Laguna.
Il processo di creazione del poster di Pasqua in 1′.
Il quadro di Davide Battaglia per la Semana Santa presentato questo 5 marzo, durante la conferenza stampa in Cattedrale
È un’opera di straordinaria potenza simbolica e spirituale, che attinge a piene mani da una tradizione iconografica cristiana in gran parte ormai purtroppo perduta, ma che è necessario recuperare in quanto espressione visibile della profondità della nostra fede.
Ciò che ad un primo sguardo stupisce è l’assenza di Gesù sulla Croce, ma se ci fermiamo a riflettere, ci accorgiamo che la croce c’è: è proprio lì, al centro, sostenuta da pali di cui quello in primo piano mostra incisi i simboli della passione: la corona di spine, la lancia e il bastone con la spugna intrisa di aceto.
Non è una croce rappresentata: è una croce evocata, e quindi carica di significati ancora più potenti come le croci aniconiche paleocristiane.
È una matraca quell’oggetto a forma di croce che vediamo, quella che ancor oggi si trova sul tetto dell’ex convento di San Domenico a La Laguna.
La matraca, in italiano “crotalo”, è la versione monumentale della comune “raganella”, quello strumento popolare anticamente realizzato in legno, girevole, che fissato su un manico e fatto ruotare fa sì che dei martelletti colpiscano il legno e producano suoni ripetitivi e gracchianti.
Nella sua versione di grandi dimensioni come quella di San Domenico si trovava frequentemente nelle chiese cattoliche, su tetti o campanili, per essere azionata durante il Triduo pasquale, quando le campane tacevano per simboleggiare il lutto, il dolore per la morte di Cristo.
Erano piuttosto comuni in Spagna, ma anche nel Sud Italia, in Slovenia e Slovacchia, mentre erano rare nel Nord Europa.
La grande matraca di San Domenico, orse addirittura seicentesca, è costituita da quattro corpi di legno cavi fissati a 90 gradi ad un perno centrale; a ciascun piano sono agganciati due martelli in legno.
Quando la matraca viene fatta lentamente ruotare mediante una manovella i martelli, per gravità, cadono sul piano sottostante e producono un rumore sordo e cupo, triste, che un tempo sostituiva quello delle campane.
La forma a croce ha suggerito a Davide di utilizzare questo antico strumento, di cui quasi nessuno ormai ricorda l’esistenza, come “sostituto” della Croce di Cristo. È un’intuizione di grande forza e intelligenza perché non solo la forma richiama la croce sul piano visivo, ma attraverso il suono dal ritmo lento, monotonico, straniante, ne evoca la sofferenza.
Davide ha ambientato il suo dipinto esattamente dove la croce/matraca si trova nella realtà, sul tetto di San Domenico, e sullo sfondo si vedono la cupola e le torri della Cattedrale della Laguna stagliate in grigio chiaro contro la sagoma scura di un paesaggio tinerfeño.
Il cielo notturno gonfio di nubi temporalesche è squarciato da un lampo che incendia lo sfondo, richiamando letteralmente il testo evangelico di Luca (23, 44-46) che descrive come la natura intera abbia accompagnato il momento della morte di Cristo con una notte improvvisa, e come un lampo abbia squarciato il velo del Tempio.
HORA SEXTA, l’ora in cui la natura cominciò a piangere la morte di Gesù
Le parole del Vangelo di Luca sono scritte sul muro sbrecciato in primo piano e danno il titolo al dipinto: HORA SEXTA, l’ora in cui la natura cominciò a piangere la morte di Gesù.
E la natura di Davide Battaglia s’incendia di un rosso fuoco ancora una volta estremamente allusivo, perché non solo ci richiama il momento drammatico di 2000 anni fa, ma quello per diversi motivi altrettanto drammatico che stiamo vivendo, con il nostro mondo messo a ferro e fuoco da guerre in tante parti di esso e in modo particolare nei luoghi in cui si svolse la vita del Cristo-uomo: la Terra Santa.
Accanto alla matraca vi sono i due personaggi che nell’iconografia cristiana si trovano sempre ai piedi della croce: San Giovanni Evangelista e la Vergine. San Giovanni, in piedi sul tetto con le vesti e i capelli scompigliati dal vento, tiene in mano il suo Vangelo e con la mano sinistra ci mostra lo sconvolgimento della natura.
È anche questa una figura densa di significati che vanno molto oltre una presenza tradizionale.
San Giovanni Evangelista, esiliato in età avanzata nell’isola di Patmos, ebbe le visioni che raccontò nel libro dell’Apocalisse, parola che significa “rivelazione”.
Davide lo rappresenta con un’espressione di incredulità dipinta sul volto mentre ci mostra, “ci rivela”, lo spettacolo della natura sconvolta.
Il vento che agita le sue vesti è talmente violento che Giovanni deve spingere il corpo all’indietro e puntellare il piede per non essere spazzato via.
Anche questa è un’intuizione di Davide Battaglia che sconcerta, che ci interroga: è la violenza della Verità che squarcia le tenebre? la violenza della visione mistica?
Quella violenza che molto spesso nell’antica iconografia è simboleggiata, appunto, da un vento che si alza improvviso e che spazza via la menzogna.
La Vergine in primo piano è ancora una volta una figura intensa, che nella posa riecheggia le Madonne medievali che esprimono il loro dolore sostenendo con una mano il capo reclinato mentre con l’altra leggermente aperta con il palmo rivolto verso l’alto manifestano l’accettazione della volontà divina.

E non a caso la straziante immagine di Maria si trova proprio accanto all’epigrafe con le parole di San Luca, realizzata con la cura di un antico documento “scritto nella pietra”.
Un quadro colto e originale dunque, in cui l’artista genovese ha saputo ancora una volta dimostrare la passione per l’approfondimento del dettaglio da una parte, e lo studio delle fonti testuali ed iconografiche dall’altra, riuscendo però nell’impresa non facile di attualizzare l’immagine sacra senza cadere nelle solite banalizzazioni di significato.
Laura Carlino – ArtEvoc Art&Culture
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