Settembre 2021: quella domenica il magma emerse violento e irriguardoso nella Valle di Aridane
Il 19 settembre 2021, nella zona di Cumbre Vieja, l’attività vulcanica si è riattivata, provocando un’eruzione che si è protratta per 85 giorni e che ha battuto il record storico dell’isola di La Palma come la più lunga.
Tre anni dopo, rimane un manto nero delle colate, e una montagna calma e orgogliosa permane e permarrà decine, centinaia, migliaia di anni. Solamente la montagna evocherà per le future generazioni la consapevolezza che ci fu un vulcano, la cui voracità e distruzione ha lasciato una traccia nel paesaggio, che forse il tempo sarà in grado di modificare.
Questo vulcano non verrà mai cancellato dal ricordo degli abitanti della Valle de Aridane. L’evocazione non sarà come quella immagine che aveva lasciato Teneguía. Molto più lontano nel tempo, alcune decina di migliaia di anni fa, le altre montagne della valle, come Todoque, La Laguna, Triana, Montaña Rajada o Cogote, ci ricordano che la Valle de Aridane si è formata in seguito ad un’eruzione, e la sua geografia è stata plasmata dal crollo della Cumbre Nueva.
Tutti questi vulcani, e tutta la geologia interna della terra, quello che ha formato l’isola di La Palma, è incomprensibile per gli umani e per quello che noi pensiamo di poter fare con la terra che abbiamo deciso di insediare.
Tre anni dopo l’eruzione, ricordiamo che oggi ci sono persone che avevano una casa, o una fattoria, o anche solo terreni. In ottantacinque giorni tutto questo è scomparso, schiacciato dalla lava. Rimane un paesaggio giovane, nero come quello del ’49. Roccia basaltica. Niente più case, fattorie, terreni. Ma le proprietà restano e questo è incontestabile.
Il vulcano è sorto, senza avvisarci, senza semaforo arancione. Non ci fu emergenza, né evacuazione. Nessuno può dimenticare le persone di El Paraíso, Alcalá, El Frontón… quelli della zona alta, come li chiamiamo solitamente. Loro non vennero mai avvisati. Né loro, né quelli della zona bassa, Todoque o La Laguna. Praticamente, tutti uscirono dalle case con mezzi propri, per non fare mai più ritorno, quelli della zona alta.
Mentre le colate avanzavano, lentamente. Molti riuscirono a salvare il salvabile, con tempo sufficiente, che vuol dire dieci minuti, quindici, venti, poco più. E gli dicevano “se non uscite in fretta, vi facciamo la multa…come ci trattarono male!”.
Tre anni dopo, il vulcano ha lasciato dei morti sulla strada, ma soprattutto un altro tipo di vulcano. Sono i dimenticati, quelli che hanno sopportato il dolore, la depressione, l’angoscia, le ore di insonnia. Il loro cuore si è spento. Tre anni dopo, rimane la stanchezza e lo sfinimento.
Alcuni dicono che cominciano a vedere la luce. Sono quelli che hanno potuto costruire una nuova casa in altri terreni, o quelli che se ne sono potuti andare e voltare pagina. Ma il dolore rimane. Ce ne sono poi altri, che dopo tre anni continuano a vivere in situazioni provvisorie, in case in affitto o presso familiari, cercando di ricomporre le proprie vite. Alcuni, non hanno ancora un luogo dove stare.
Tre anni dopo arriva l’anniversario. Le voci, il grido di rabbia e indignazione si sono lentamente spenti. Non ci sono più forze. Ma nessuno, neanche l’ultima persona rimasta sul vulcano, può essere dimenticata. Lo diceva anche lo scrittore colombiano Héctor Abad Faciolince nel suo libro “El olvido que seremos”.
©Riproduzione riservata – Tratto da un articolo di Francisco R. Pulido, tradotto liberamente dalla redazione.


