
La riscoperta delle isole Canarie e il “De Canaria” di Boccaccio: lo sguardo antropologico sull’umanità del “buon selvaggio”
Nella primavera del 1291 i fratelli Ugolino e Vadino Vivaldi partirono dal porto di Genova con l’intenzione di raggiungere via mare l’India in dieci anni. La spedizione fu patrocinata da Tedisio D’Oria. Dopo aver raggiunto la costa marocchina, di loro non si seppe più nulla.
È difficile sapere se durante la loro spedizione siano passati dalle isole Canarie; ma la scoperta delle Isole Canarie fu una conseguenza diretta del loro viaggio, poiché a seguito dei diversi tentativi che furono fatti per trovarli e seguirne la rotta, l’Arcipelago cessò di essere un mito e fu acquisito alle conoscenze geografiche dell’epoca. Una fonte venuta recentemente alla luce rivela il vero destino dei fratelli Vivaldi: essi, contrariamente a quanto si è sempre pensato, non naufragarono con le loro galere durante la traversata oceanica oltre le Colonne d’Ercole, ma volontariamente non tornarono in patria, a causa del grande pericolo che avrebbe comportato il viaggio di ritorno.
IL NAVIGATORE ITALIANO, DI VARAZZE, LANZAROTTO MALOCELLO
La vera riscoperta delle Isole Fortunate, però, avvenne nell’anno 1312 ad opera del navigatore italiano (ligure, di Varazze) Lanzarotto Malocello, e questo evento segnò la fine di un antico mito, dando inizio al periodo delle grandi scoperte geografiche.
Sbarcò a Lanzarote, oggi la più settentrionale delle Isole Canarie, e diede il suo nome a quest’isola. Rimase lì per quasi due decenni – fino al 1328 o 1329 – venendo infine espulso da una rivolta indigena, anche se non si conoscono molte informazioni al riguardo. Le testimonianze dell’occupazione di Lanzarotto Malocello sono documentate da più fonti.
Sebbene queste isole fossero già apparse negli oceani dei primi mappamondi risalenti a qualche secolo prima (a volte il loro mitico nome era racchiuso in un semplice rettangolo, oppure posto agli estremi delle stesse mappe del mondo parzialmente conosciuto).
Soltanto nel 1339 questo territori apparivano finalmente ben definiti e disegnati come isole reali, una delle quali indicata come “Insula de Lanzarotus Marucelus”, nel portulano realizzato dal cartografo maiorchino Angelino Dulcert, anch’egli di origine italiana.

L’origine genovese della riscoperta pertanto è attestata da questo portulano, che riproduce in modo incompleto le Isole, con le insegne della bandiera di Genova sull’isola di Lanzarote. Possiamo quindi dire che la cosiddetta Era delle Scoperte (o Era delle Esplorazioni) inizia con la riscoperta delle Isole Canarie, che costituirono il primo pezzo del “Nuovo Mondo”.
Purtroppo il viaggio di Malocello non ebbe risvolti letterari immediati né si aprì un dibattito culturale con riflessioni di carattere storico, geografico o antropologico.
L’IMPORTANZA DEGLI ITALIANI
La seguente spedizione, organizzata da italiani e portoghesi nell’anno 1341, è invece di grande interesse perché è la prima descrizione fatta dell’Arcipelago e dei suoi aborigeni. L’impresa era sotto la direzione tecnica degli italiani Niccoloso da Recco e Angiolino de Teggia dei Corbizzi, quest’ultimo capitano della compagnia.
Questo viaggio è raccontato in un frammento del diario di Giovanni Boccaccio, che scrisse una cronaca di questo viaggio, il “De Canaria et insulis reliquis ultra hispaniam noviter repertis” descrivendo, tra l’altro, i Guanci, la loro lingua (che variava da isola a isola) e le loro usanze.
Si tratta dell’opera più piccola, composta da appena un paio di pagine, tra quelle scritte in latino dal grande scrittore e umanista italiano, relativa ad un viaggio del 1341 alle Isole Canarie (di cui parleremo più avanti), scoperta da Sebastiano Ciampi a Firenze, oggi conservata della Biblioteca Nazionale di Firenze, detto Zibaldone Magliabechiano. Fu pubblicata per la prima volta dallo stesso Ciampi nel dicembre 1826.
Niccoloso da Recco, fin dalla partenza da Lisbona, conosceva la meta verso la quale si dirigeva, riferendosi sicuramente all’esperienza genovese di Lanzarotto Malocello, benché egli non conoscesse gli abitanti delle isole , in quanto l’ equipaggiamento era composto da “cavalli, armi e diverse macchine da guerra, per conquistare città e castelli” che esistevano solo nell’immaginazione dei membri della spedizione ,derivante dalla propria cultura.
LE ISOLE ABITATE
Delle cinque isole abitate che facevano sicuramente parte dell’arcipelago delle Canarie, Niccoloso da Recco capì la diversità etnica e culturale che esisteva tra le stesse isole poiché rilevò l’esistenza di lingue diverse, imputandola alla mancanza di comunicazioni e all’assenza di traffico marittimo tra esse. Il testo di Boccaccio fornisce solo informazioni sulla popolazione delle prime due isole visitate dalla spedizione.
Il seguente brano dell’opera, che trascrivo parzialmente, tradotto in italiano, si distingue soprattutto per l’apertura e l’atteggiamento favorevole nei confronti di quegli stessi abitanti delle Isole Canarie di cui Petrarca, invece, parla in termini decisamente negativi:
Brano tradotto in italiano:
“L’isola dalla quale furono trasportati si chiama Canaria, che è più abitata delle altre. Costoro non capiscono assolutamente nulla in alcun altro idioma, nonostante si sia parlato loro in numerose e diverse lingue. Non sorpassano la nostra corporatura, sono abbastanza forzuti, intraprendenti, coraggiosi e, a quanto si può dedurre, di grande intelligenza. Si parla loro a cenni e a cenni essi rispondono, alla maniera dei muti.
Si facevano onore a vicenda: ma ad uno di loro più che agli altri, quello che aveva il gonnellino di palma, dipinto di giallo e di rosso, mentre gli altri ce l’avevano di giunchi. Cantano soavemente e danzano quasi come i Francesi. Sono sorridenti, vivaci e abbastanza alla mano, più di quanto lo siano molti Spagnoli.
Dopo che furono collocati sulla nave, essi mangiarono pane e fichi; il pane piace loro, nonostante non ne avessero mai mangiato prima. Il vino lo rifiutano del tutto, bevono acqua. Parimenti mangiano frumento, orzo a piene mani, formaggio, carni di cui da loro – e per giunta buone – v’è un’enorme abbondanza.
LE LORO RICCHEZZE
Non hanno buoi, cammelli o asini, ma moltissime capre, pecore e cinghiali selvatici. Furono mostrate loro delle monete d’oro e d’argento, ma si tratta di oggetti a loro completamente ignoti. Allo stesso modo non conoscono aromi di nessun genere. Furono mostrati loro monili d’oro, vasi cesellati, spade, pugnali: non sembra che ne abbiano mai visti né che ne possiedano.
Osservano la lealtà e la giustizia al massimo grado: non si può dare ad uno di loro qualcosa da mangiare che egli, prima di assaggiarlo, non lo divida in uguali porzioni e ne dia agli altri una parte identica alla propria.
Le loro donne si sposano, e quelle che conoscono uomo recano il gonnellino, alla maniera dei maschi; le vergini invece girano completamente nude, senza considerare una vergogna l’andare in giro così.”
A differenza del Petrarca, che mette in rilievo l’ignoranza la solitudine selvaggia degli abitanti delle Canarie, evidenziando come essi siano guidati dai loro istinti naturali piuttosto che dal libero arbitrio e li rappresenta come l’antitesi dell’ideale di ciò che egli va ricercando.
Boccaccio descrive gli indigeni dell’isola di Gran Canaria come coraggiosi, forti, molto intelligenti: si rispettano l’un l’altro e il rispetto che nutrono per il proprio capo è indice di un certo livello di maturità ed articolazione nella loro cultura politica.
Danzano e cantano bene quanto i francesi, sono allegri, agili e più amichevoli di molti spagnoli. Non hanno alcuna familiarità con la civiltà europea. Non conoscono monete d’oro o d’argento e neanche le spezie.
Il testo del Boccaccio, a ben osservare,per quanto in esso appena descritto, evidenzia una netta contrapposizione tra questi oggetti, simboli del materialismo della civiltà europea, e la grande fiducia e lealtà che esistono tra gli indigeni, dimostrata dal fatto che niente viene mangiato senza essere prima diviso in parti uguali. Si tratta naturalmente di un tema che diventerà luogo comune nella susseguente letteratura di esplorazione e scoperta.

Il Boccaccio, nella sua rappresentazione dell’incontro riflette una visione dell’altro ispirata da una tipica prospettiva mercantile che però lascia un certo margine di autonomia alla cultura dell’altro, a differenza del Petrarca che all’altro nega qualsiasi forma di autonomia culturale.
Mentre lo sguardo antropologico del Petrarca sappiamo essere condizionato dal discorso imperialistico di evangelizzazione e conquista che si andava sviluppando in quel periodo alla corte di Clemente VI, la rappresentazione dell’altro effettuata dal Boccaccio emerge da una cultura ibrida, umanista e mercantile.
Addirittura si ha la netta impressione che il Boccaccio voglia in un certo senso biasimare e punire la cultura degli europei e in particolare sottolinearne polemicamente la degenerazione morale. Tuttavia si deve tenere presente come l’incontro con l’altro spesso non sia un incontro basato sulla reciprocità, essendo il soggetto europeo teso a proiettare la propria sembianza sull’altro per affermare i propri programmi imperiali, religiosi e sociali.
Della prima isola visitata e dei suoi abitanti, nel De Canaria si legge: “La prima volta che la scoprirono, aveva 140 miglia di circonferenza; Il tutto era un ammasso di pietra, incolto, ma abbondante di capre e di altri animali, e molto popolata da uomini e donne nudi, che somigliavano ai selvaggi negli usi e costumi”. Niccoloso da Recco ed i suoi compagni, portarono via con sè dall’isola la maggior parte delle pelli e del grasso, ma non si addentrarono al suo interno.
Considerando che questa è la prima rappresentazione di un popolo non occidentale, è molto probabile che si debba fare riferimento agli abitanti indigeni dell’isola di Fuerteventura non solo per la descrizione dell’isola ma anche perché si suppone che i membri della spedizione conoscessero il diritto della Repubblica di Genova sull’isola di Lanzarote, da loro scoperta e disegnata sulla mappa di Dulcert, e quindi decisero di evitarla e di dirigersi verso l’isola di Fuerteventura.
Da questo frammento possiamo evidenziare alcune delle caratteristiche che agli occhi dei capi della spedizione potevano essere considerate esempi di barbarie: la prima era la vita pastorale a scapito dell’agricoltura e il fatto che l’isola fosse “incolta” e “abbondante” in bovini e altri animali”, anche se è necessario sottolineare che per il cristianesimo latino la figura del pastore non era necessariamente paragonabile a quella del salvatore.
Il secondo si riferisce alla nudità collettiva e indiscriminata di uomini e donne. E infine “gli usi e costumi”, anche se il testo è vago nello specificare a quali usi e costumi si riferisca.
L’immagine di “selvaggi” attribuita agli abitanti della prima isola nel testo di Boccaccio contrasta radicalmente con l’immagine positiva degli abitanti della seconda isola visitata che, esplicitamente, il testo indica essere “Canaria”, l’attuale isola di Gran Canaria . Boccaccio coglie nella sua opera diversi elementi tipici dell’immaginario della civiltà medievale che possono spiegare perché, a differenza dei selvaggi dell’isola di Fuerteventura, gli abitanti dell’isola di Canaria fossero percepiti positivamente sotto lo sguardo di da Recco.
Questi elementi sono: autorità e gerarchia sociale; abilità comunicative; aspetto fisico, capacità mentale e comportamento; e la vita agricola, sedentaria e civile. Riguardo all’autorità e alla gerarchia sociale, Boccaccio sottolinea che “alcuni di essi sembravano comandare sugli altri”.
Fin dai tempi di Tommaso d’Aquino si riteneva che esistesse una relazione diretta tra aspetto fisico, capacità mentale e comportamento. Questi tre aspetti furono, nel loro insieme, evidenziati da Boccaccio nella descrizione dei quattro prigionieri canari dei quali dice che “sono giovani, imberbi e di bella figura; (…), hanno capelli lunghi e biondi e se ne coprono, arrivando fino all’ombelico”, “hanno arti robusti, sono forti, molto coraggiosi e apparentemente intelligenti.”
Ma, forse, ciò che Boccaccio descrisse con maggiore ammirazione fu il comportamento degli isolani, che definì “molto coraggiosi”, aggiungendo che “la loro lealtà è molto grande” e che sono“allegri e sorridenti” e “abbastanza civili”.
Altro elemento caratteristico della civiltà che viene descritta nel De Canaria, a differenza dei “selvaggi” pastori di capre dell’isola di Fuerteventura, è quello di una “vita agricola, sedentaria e civile” poiché i membri della spedizione al loro arrivo a Canaria “la trovarono molto popolata e coltivata : produce grano, frumento, frutti e soprattutto fichi”, così dalle loro barche “videro molte casette, fichi e altri alberi, palme senza frutto, legumi, cavoli e verdure, nonché palme”.
Inoltre, sbarcando nell’isola, trovarono che le loro case e gli edifici “erano costruiti con pietre squadrate con grande arte e ricoperte di legno bello e grande”, le quali “erano tutte molto belle, ricoperte di legname eccellente, e molto pulite, tanto che si sarebbe detto che il loro interno fosse imbiancato con intonaco”.
Il De Canaria, oltre a queste caratteristiche considerate tipiche di una società civile, attribuì agli abitanti canarini anche il fatto di praticare il matrimonio, avere un sistema numerico e anche una religione, stante l’esistenza di una cappella o tempio situato nel città visitata dagli uomini della spedizione.
Il livello di ammirazione di Boccaccio per quegli isolani è tale da paragonarli in condizioni paritarie, e perfino superiori, con i popoli dell’Occidente cristiano.
Ad esempio, afferma che “ballano alla francese”, che erano “abbastanza civili e meno scortesi di molti spagnoli” e “la loro lingua è molto dolce (…) come l’italiano”. Anche la loro nudità collettiva, caratteristica che nel cristianesimo latino era un elemento di barbarie è stata evidenziata nel corso della narrazione come riflesso di uno stato di innocenza.
Queste due rappresentazioni, sia quella degli abitanti di Fuerteventura che quella degli abitanti della Canaria, in realtà non sono così contraddittorie tra loro poiché entrambe rispondono allo stesso principio etnografico utilizzato dagli scrittori medievali dell’Occidente cristiano, cioè quello di degenerazione.
Anche se attraverso due modelli diversi: da un lato, gli abitanti di Fuerteventura sono rappresentati utilizzando il modello del “selvaggio”, in cui le persone erano relegate al gradino più basso dell’essere, cioè subumani, uomini bestia o selvaggi, come è stato il caso di questi isolani, attraverso una discriminazione che contempla principalmente gli aspetti culturali piuttosto che quelli legati all’apparenza.
COME ERA VISTI GLI ABITANTI DELLE CANARIE
Gli abitanti della Canaria, invece, vengono rappresentati utilizzando il modello del “buon selvaggio”, più utilizzato dai commentatori che dagli osservatori come nel caso di Boccaccio. Sul gradino più basso della scala dei valori dell’umanità compaiono esplicitamente i selvaggi di Fuerteventura.
Come antitesi e punto di riferimento per poter definire la barbarie di quest’ultima, implicitamente, l’Occidente cristiano si rivela, attraverso la testimonianza di da Recco e la penna di Boccaccio, come civiltà.
E infine, in un punto intermedio della catena si trovano gli abitanti delle Canaria che, senza essere totalmente selvaggi o civilizzati, appaiono in uno stato quasi mitico in cui lo stato naturale è uno stato fortunato, degno di essere emulato dagli uomini civilizzati.
Così, fin dall’inizio dell’incontro, appare chiaro che gli abitanti del primo Nuovo Mondo scoperto dal cristianesimo latino furono identificati come selvaggi e infedeli, che, dopo essere stati negati come Altri, dovevano essere combattuti, civilizzati e cristianizzati e, infine, costretti ad unirsi alla totalità dominante che li percepiva come “nemici della fede” degni di essere sottoposti alla perdita della loro libertà, delle loro proprietà e della loro legittima autorità di autogovernarsi.
Questa situazione aiuta a comprendere le prime spedizioni dell’Europa cristiana, che portarono a incursioni contro le popolazioni indigene delle Isole Canarie, costituendo queste ultime parte del bottino ottenuto con l’uso della violenza, come peraltro riportato negli scritti di al-Maqrizi, Ibn Jaldun, Il re Alfonso IV, lo stesso Boccaccio e altre fonti dell’ epoca.
Avv. Alfonso Licata

Presidente della Società Dante Alighieri – Comitato delle Isole Canarie
Calle Leon y Castillo,10
Arrecife – Lanzarote (Isole Canarie)
socdantealighieri.canarias@gmail.com
Presidente del Comitato del VII Centenario della riscoperta di Lanzarote e delle Isole Canarie da parte del navigatore italiano Lanzarotto Malocello
