Ogni giorno sette persone hanno scoperto di essere sieropositive, di cui quattro già in una fase avanzata dell’infezione.
Dopo la pandemia di Covid-19, per la prima volta da quasi dieci anni, sono aumentate in Italia le infezioni da HIV, molte delle quali diagnosticate in fase già avanzata (AIDS), soprattutto tra le persone eterosessuali.
Sono alcuni dai dati che emergono dal report del Centro Operativo AIDS (COA) dell’Istituto Superiore di Sanità e che, in occasione della Giornata mondiale contro l’AIDS che si celebra il 1 dicembre, riportiamo in questo articolo.
L’andamento delle diagnosi di infezione da HIV negli ultimi anni.
Dopo il picco raggiunto nel 2012 (oltre 4.000 nuovi casi), la situazione è migliorata in modo costante fino all’arrivo di Covid-19, che ha fatto registrare un dato particolarmente basso.
Dal 2021 i numeri sono tornati a crescere, in particolare tra le persone eterosessuali e tra quelle di età compresa tra i 40 e i 49 anni.
Come suggerisce un report del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (ECDC), durante la pandemia sono diminuiti i servizi legati all’HIV, compresi i testi di screening.
Un aumento dei casi era prevedibile negli anni successivi, quando l’offerta di tali servizi è aumentata: è ragionevole attribuire gli incrementi del 2021 e 2022, almeno in parte, al recupero delle diagnosi mancate durante la pandemia.
Il dato del 2023 però ci riporta ai livelli pre-Covid e viene da chiedersi se in gioco ci sia solo la ridotta attività di screening degli anni passati o anche altri effetti della pandemia, che non abbiamo ancora compreso del tutto.
Saranno i dati dei prossimi anni a dircelo.
Anche se i casi di infezione da HIV sono in aumento, l’Italia resta ben al di sotto della media europea.
Secondo un recente report dell’ECDC sul monitoraggio dell’HIV, nel 2023 l’incidenza delle nuove diagnosi in Italia è stata di 4,2 casi per 100.000 residenti, inferiore alla media di 6,2 registrata nei paesi dell’Europa occidentale.
Il dato davvero preoccupante è che la maggior parte delle infezioni vengono scoperte quando sono già in fase avanzata: il 60% delle diagnosi di HIV arriva quando il virus ha già danneggiato gravemente il sistema immunitario.
Questo danno si misura attraverso la conta dei linfociti CD4, che il virus usa per replicarsi: quando scendono sotto le 350 unità per microlitro di sangue, la diagnosi è considerata tardiva, poiché le difese dell’organismo sono già state compromesse e aumenta il rischio di infezioni e altre patologie.
Una persona su quattro riceve la diagnosi già in stato di AIDS
Una persona su quattro riceve la diagnosi già in stato di AIDS, cioè con una conta di CD4 inferiore a 200 o con la presenza di sintomi caratteristici di un sistema immunitario compromesso.
Nell’ultimo decennio entrambi i dati sono peggiorati: la percentuale di diagnosi tardive sul totale è aumentata di sette punti percentuali e quella di diagnosi di AIDS di quattro.
Il ritardo nella scoperta dell’infezione aumenta il rischio che le terapie antiretrovirali siano poco efficaci, che si sviluppi una resistenza al trattamento o che insorgano altre complicazioni.
È anche una questione di salute pubblica, perché favorisce la diffusione del virus, che invece non viene trasmesso dalle persone in terapia antiretrovirale efficace.
Tratto da: Diagnosi di HIV in crescita dopo il COVID: i numeri del 2023 di Enrico Schlitzer