
Goya apre la strada a un nuovo sviluppo della storia dell’arte.
Quando Goya, da grande, faceva ancora i “capricci” aprendo la strada a un nuovo modo di fare pittura.

Tra gli ultimi maestri ritrattisti classici e precursore dei maestri moderni, Francisco José de Goya y Lucientes è stato uno dei personaggi più importanti nello sviluppo della storia dell’arte. Nell’arco della sua vita Francisco Goya passerà indenne attraverso quattro sovrani e due rivoluzioni, come un funambolo sul sottile filo della diplomazia in un periodo di tumulti e violenze.
L’artista è infatti vissuto a cavallo tra Sette e Ottocento e ha lavorato per le più alte committenze di quel periodo, aprendo la strada a un nuovo modo di fare pittura.
Le tele della “La maja vestida” e “La maja desnuda” o quelle del “2 e il 3 di maggio1808” rappresentano alcuni dei suoi massimi capolavori.
CHI ERA GOYA
Nato nel 1746 in un piccolo villaggio dell’Aragona nei pressi di Saragozza, Goya apparteneva ad una famiglia della piccola borghesia. Vista la precoce inclinazione al disegno e alla pittura mostrata dal giovane Francisco, fu inviato dal padre dodicenne presso la bottega del pittore locale José Luzán y Martínez, emulo di Luca Giordano e Pietro da Cortona. Molto importante per la sua formazione artistica è stata l’Italia, dove si reca per un periodo della sua vita.
Al suo rientro in Spagna gli vengono commissionati i cartoni per l’arazzeria reale, un lavoro che lo impegnerà per gran parte della sua professione. Nel 1786 fu nominato “pintor del rey” da Carlo IV.
La vita di corte fu interrotta da brevi soggiorni in Andalusia dove all’età di 46 anni venne colto da una sindrome malarica cerebrale dagli effetti devastanti. Il trattamento prolungato con alte dosi di corteccia di china gli avrebbe provocato un’intossicazione da chinino e la sordità permanente.
Nell’anno 1792, si ritirò nella residenza di Cadice di Sebastián Martínez, dove poté contemplare le stampe satiriche inglesi che avrebbero poi influenzato la sua opera. Al suo ritorno a Madrid coltivò l’amicizia di Leandro Fernández de Moratín, con il quale ebbe uno scambio di idee che sarebbero poi presenti in Los Caprichos come segno della sua avversione nei confronti delle classi regnanti che lo spinsero a mostrarsi sempre più cupo e pessimista.
Nonostante la sua longevità (morì nel 1828 all’età di 82 anni), la sensazione di essere sempre vicino alla morte che lo avrebbero liberato da molte impedimenti individuali e sociali gli permise di dipingere quello che voleva, senza temere le persecuzioni dell’Inquisizione in quell’epoca ancora attiva in tutta la Spagna.
Le vicissitudini personali e la necessità di voler comunicare le amarezze di un periodo talmente convulso furono il motivo del suo cambio drastico di stile e tematica.
L’espressione dell’insofferenza e del disagio di un Goya deluso e frustrato si incise in una serie di 80 stampe ad acqueforti e acquetinte denominate ”Los Caprichos”. I capricci sono espressioni dei bambini o degli artisti, se quelli dei bambini suscitano fastidio, quelli degli artisti turbano le coscienze, essendo comunque un sintomo d’intolleranza che si manifesta a modo proprio denunciando un malessere profondo.
Nei Capricci Goya scaglia la propria indignazione contro tutto ciò che considera spregevole, finto e brutale utilizzando l’arma implacabile dell’arte che punisce i colpevoli al tormento dell’immagine scolpita nel tempo.
La prima edizione dei Los Caprichos venne messa in vendita nel febbraio 1799, ma la raccolta incontrò l’ostilità dell’Accademia e dell’Inquisizione che la ritirò dalla circolazione. I Capricci sono carenti di una logica struttura organizzativa, ma l’opera possiede importati nuclei tematici.
Gli argomenti più numerosi sono: la stregoneria notturna, la superstizione, i sogni, la vita dei monaci e dei vescovi ritratti come pigri, bevitori golosi e persone lussuriose, l’«asineria» ovvero il mondo al rovescio, la satira erotica con chiari riferimenti alla prostituzione e al ruolo delle ruffiane e, in misura minore, la satira sociale dei matrimoni combinati o di convenienza, la cattiva educazione dei figli, l’Inquisizione, l’arroganza delle classi dirigenti e le ingiustizie della legge.
Ispirandosi ad una realtà sommersa, Goya inventò un intero mondo di personaggi popolari, che si distinguono per i loro difetti e vizi. Riordinò gli archetipi umani associando i caratteri di alcuni uomini a quelli degli animali.
Alcune di questi allusioni sono entrate a far parte, ancora oggi, dell’immaginario popolare: pipistrelli (incarnazione del diavolo), gufi (animali intolleranti alla verità, per questo motivo preferiscono vivere nell’oscurità), gatti (ladri e traditori), i cani (adulatori), la lince (visione penetrante), gli asini (ignoranza), le scimmie (che rappresentano la parte bestiale della natura umana e l’impurità), le capre (lascivia) o le volpi (prostitute).

Nel 1799, grazie all’interessamento del potente amico Gaspar Melchor de Jovellanos, Goya venne nominato Primer Pintor de Cámera e a quel periodo appartengono La maja vestida e La maja desnuda, ritratti gemelli dei quali si ignora tuttora la committenza.
Il dramma della rivolta antinapoleonica emergerà con particolare violenza ne “Il 2 maggio 1808” e “Il 3 maggio 1808”, tele conservate al Museo del Prado di Madrid e intitolate con le date esatte in cui la Spagna stava combattendo contro il “Tiranno d’Europa”, ovvero Napoleone.
Questi due capolavori dell’arte spagnola furono realizzati dopo la restaurazione della monarchia legittima dei Borbone e testimoniano quanto l’autore fosse legato al proprio Paese ed odiasse Bonaparte.
GOYA DAL CARATTERE INTROVERSO
Nel 1819 Francisco Goya decise di trasferirsi nella campagna fuori Madrid e si ritirò a vita privata in seguito della sopraggiunta sordità che peggiorò ulteriormente il suo carattere, già ritenuto abbastanza irascibile ed introverso.
In questa zona agricola acquistò una piccola tenuta conosciuta, ironia della sorte, con il nome di Quinta del sordo (villa del sordo), per la coincidente menomazione del primo proprietario. In questo luogo isolato, tra il 1820 e il 1823 realizzò il celeberrimo ciclo conosciuto con il nome di “Pinturas Negras”. Si tratta di 14 scene dipinte a secco direttamente sui muri della casa a due piani.
La fortuna volle che, dopo che Goya emigrò in Francia, queste opere eccezionali furono salvate trasferendole su tela prima della distruzione dell’abitazione, passata al nipote Marianito che la fece cadere in uno stato di totale abbandono per essere demolita poi nel 1910. In aperto contrasto con la deriva autoritaria intrapresa dal sovrano spagnolo Ferdinando VII°,
Francisco Goya, ormai anziano, scelse la via dell’esilio volontario in Francia dove visse gli ultimi anni nella città di Bordeaux , in compagnia della sua governante e amante, Leocadia Weiss e di sua figlia fino alla morte, sopraggiunta nel 1828.
Fin dall’inizio Los Caprichos furono recepiti come una critica feroce alla società dell’epoca, a volte generalizzata, ma a volte diretta contro istituzioni o persone specifiche, come Godoy e i regnanti.
Da allora fino ad oggi, i Capricci di Francisco Goya sono stati oggetto delle più diverse interpretazioni, a testimonianza dell’interesse che ha suscitato e continua a suscitare un’opera che, avendo compiuto duecento anni, è ancora attualissima, e nella quale possiamo vedere ancora riflesse alcune delle stravaganze e debolezze della razza umana.
METTER LA TESTA A POSTO, PER FRANCICO GOYA NON ERA UN CAPRICCIO DI POCO CONTO

Per mancanza di spazio editoriale non sarà ovviamente possibile descrivere e analizzare tutte le 80 stampe della collezione, ma per apprezzare il significato satirico e la carica ironica de Los Caprichos del Goya, a campione prendiamo in esame la tavola nr.26, una delle prime ad essere messe in vendita nel 1799 ed intitolata “Ya tienen asiento“ ( trad.: già tengono un posto a sedere).
In primo piano vediamo due giovani donne, probabilmente prostitute, che si coprono il capo con delle sottogonne ed usano delle sedie a mo’ di capello. Vengono lasciati scoperti solo il viso e le gambe nude mentre sullo sfondo vi sono due uomini che le deridono.
Il messaggio allegorico dello stravagante modo di incappellarsi così le sedie si può riassumere nell’idea che le giovani donne dai facili costumi ( mozas de silla – ragazze che si siedono in strada in attesa dei clienti) avranno un loro posto nella società e metteranno giudizio solo quando se le metteranno in testa; tale è la voglia di scoprire l’altra metà del loro corpo che non si accorgono dei mascalzoni che le prendono in giro.
Il pittore aragonese gioca con il doppio significato del termine “asiento” (posto a sedere) che, in senso figurato, rimanda al “senno”. Queste donne dalla vita frivola ne sono prive e l’unico modo per ottenerlo è mettere una “sedia o posto dove stare” sulle loro teste. Allo stesso modo, non han “giudizio” le persone che le guardano sullo sfondo e ridono apertamente dell’atteggiamento ridicolo e strambo delle giovani donne.
Nello spagnolo colloquiale dell’epoca, ma ancora in uso oggi, per indicare quando una ragazza “mette la testa a posto” e finalmente desidera accasarsi, si usa l’espressione ”sentar la cabeza” e con tutta probabilità questo modo di dire è la chiave di lettura migliore per questo bizzarro, ma altrettanto eloquente, “capriccio” del Goya.
Per coloro che volessero approfondire poi l’argomento, l’artista volutamente disegnò le sottovesti sulla testa delle ragazze per richiamare “la cobijada” o “la tapada de Lima”, un modo di vestire tipico del XVII secolo e della zona di Cadice (Vejer de la Frontera) ed in uso anche nella capitale peruviana, con cui le donne si nascondevano sotto le vesti per flirtare e occultare i propri amoreggiamenti lontano da occhi indiscreti, alludendo nel contempo all’atteggiamento tipico e civettuolo delle donne spagnole che si coprivano il viso con un ventaglio, lasciando intravedere solo gli sguardi lascivi.

Articolo del S.Tenente CC. Pil. cpl (r) Giuseppe Coviello
UNUCI – Sezione all’Estero Spagna / Isole Canarie www.unuci.es
- Vicente López y Portaña – ritratto di Francisco Goya del 1826. Madrid: Museo El Prado
- Dipinto “Il 3 di maggio 1808” di Francisco Goya del 1814. Madrid: Museo del Prado
- Dipinto “La Maya Vestida” di Francisco Goya dipinta tra il 1800 e il 1807. Madrid: Museo del Prado
- “Ya tienen asiento“ – Tavola n. 26